Associazione Culturale
i 4 Colori Primari

Nicola Guerraz

Panta rei

condizionale presente del verbo del desiderio.
“CHI
chi fa nodi
chi li disfa
chi si dà
chi rifiuta
chi va in cerca
chi ritrova
chi si spreca
chi si nutre”.

Nicola Guerraz compone sulla tela un’ ironica sintesi sentimentale oltre che premonitrice di comportamenti quotidiani.

Non è un filosofo, non è uno psicologo, né un professore di letteratura.

Guerraz nasce letterato e si ritrova oggi a vivere da artista, per e con la sua arte.
Capace di colpire nel segno, egli sa di poter arrestare lo sguardo di ciascun fruitore che davanti alla sua opera va oltre la pura valutazione estetica. Nei suoi lavori, per lo più su tela, ma anche su legno e metalli diversi, Guerraz reinterpreta il proprio linguaggio ludico facendo riemergere il proprio vissuto, mentre persevera in lui, sempre e dovunque, una sola costante: la positività. Per questa ragione lo spettatore osservando l’opera, non percepisce la costrizione di un analisi invadente del proprio io, ma piuttosto la prima reazione è quella di chi incuriosito di fronte a quest’arte messaggio prova qualcosa di diverso. Guerraz lascia libero il fruitore di metabolizzare o meno ciò che appare davanti ai suoi occhi, tollerante e comprensivo verso chi eviterà di afferrare un paio di lenti per non vederci a fondo. Ebbene, questo “non vederci a fondo” rimanda a quei giochi di parole, a quei doppi sensi letterari, che si leggono nei lavori di Nicola: come quel suo “Non lasciarmi stare!”, in cui riecheggia il grido di colui che pentito, comunica intensamente il desiderio di riaffermare il giusto senso al luogo comune, già socialmente incrinato del “Lasciami stare!”. Le parole diventano a loro volta Arte “all’ennesima potenza” come direbbe Guerraz, manipolata sulla tela: i rossi accesi dell’acrilico al quarzo sono splendenti e superano la resistenza della materia, per sciogliere un rebus mentale e capovolgere infine alcuni contenuti di esistenze vissute con pericolosa mediocrità . Lo spirito di cui si anima tutto il lavoro di Nicola Guerraz risulta perciò giocosamente combattivo, non si arresta pigro di fronte ai percorsi inesplorati che offre la realtà, ma anzi si rinnova ricercando sempre una nuova via di uscita. “Chi non crede nelle coincidenze alla fine poi le perde”. Ecco come nelle parole dell’artista talvolta riaffiora un pizzico di incoscienza unito al senso più aleatorio delle cose. Nulla è perciò eternamente definibile, tutto può mutare e da questo la volontà di Guerraz nel sottolineare che poiché verba volant, come graffiti scalfiti per l’eternità, nero su bianco, bianco su bianco, rosso su verde acido, colore dopo colore, materia dopo materia, le lettere riportate sulle tele o altri materiali di supporto, formano frasi essenziali che altrimenti nel loro traboccare diventerebbero assordanti. Da questo la predilezione di Guerraz per la sobrietà, per la scelta di un lessico classico ma moderno, così come il latino fatto rivivere con estrema attualità nell’opera “Sine solem sileo” o l’inglese apparentemente aulico del “Fate is strong but love is stronger” che parrebbe riferirsi al tormento passionale dell’Amleto sheakespeariano del “To be or not to be, that is the question”. Dunque citazioni in inglese, latino e francese, estrapolate da Guerraz secondo il suo personale criterio, sempre intriso di giusta ironia e mai pedante, in contrapposizione giocosa ad un contesto puramente intellettuale come quello delle pagine di un libro, in cui egli si racconta attingendo al patrimonio linguistico degli ultimi due millenni. Come la Prosa si rivela spesso la stessa trama nella scelta di una rappresentazione teatrale, così l’opera di Guerraz, si installa in un ambiente e ne muta i connotati, arricchendolo come se occupasse una scenografia cangiante ad ogni istante, esattamente come gli umori che popolano l’esistenza umana. L’artista è amico della realtà ma in una dimensione compresa tra la metafora e l’esperienza. E’ amico del pensiero ma a dosi leggere, per non appesantire il racconto, per garantire alle immagini provvisorietà e fuggevolezza volutamene ermeneutiche agli occhi del proprio pubblico. Di pari passo ma in necessaria opposizione a questo concetto, Guerraz imprime su tutta l’opera quell’istintiva capacità di concentrare su di sé tensione ed energia, che finisce per specificarsi in quell’affinamento percettivo, ovvero su quell’esattezza della sensazione, quella consapevolezza di sé e del mondo, che l’artista pone come costante nonché ideale punto di riferimento di tutta la sua produzione. Guerraz osserva la quotidianità con meticolosa concentrazione, riuscendo poi a rappresentare il proprio mondo, cogliendone frammenti e spaccati, per poi metterli di nuovo insieme e rivelarne di proposito solo la parte più innocente e pura, almeno all’apparenza. Ciò che egli è in grado di cogliere, infatti, ha come fine la messa in gioco della singola capacità percettiva di ciascun fruitore, sottolineandone quel personale divario, già in nuce, tra l’oggettività e la soggettività, tra l’ interiorità e l’esteriorità, tra gioco e realtà. La composizione dello spazio intorno all’opera di Guerraz è comunque puro e scevro dalle falsità quanto le sue parole; candido ed essenziale come l’acutezza di certi suoi pensieri, ricalcati manualmente attraverso un processo di stratificazione concreto e metaforico. Le parole dal suono onomatopeico come lo può essere un “Mmhh” di meditazione “all’ennesima potenza”, nel sottolineare l’infinita interpretazione che si può dare al suono di una consonante unita ad altre mute; come un “Ahh!!” di meraviglia, gioia o terrore, come un “Ohh!” di perplessità, felicità o delusione. Siamo noi, in sintesi, gli unici interpreti del nostro modo di comunicare, e siamo ancora noi, gli unici registi del modo in cui lo facciamo. Comunque sia, via libera all’interpretazione e che ciascun opera rappresenti un monito a liberare l’istinto verso l’ interiorizzazione dell’opera stessa. Guerraz espone le proprie recondite aspirazioni, insieme a dubbi e riflessioni, sotto forma di un dialogo intimo, a più voci, in cui ciascuno dei presenti pone delle domande a se stesso e agli altri. E’ una sorta di riflessione, comune, aperta, vivace per cui è possibile perfino superare la barriera che esiste tra l’Arte e la vita.
Articolati sulla tensione tra interno ed esterno, tra rappresentazione bidimensionale e tridimensionale, i lavori di Guerraz, suggeriscono nuove relazioni tra spazio vissuto e spazio rappresentato. Guerraz ama molto la natura per cui ricerca anche con la sua arte di partecipare all’habitat di cui essa gode e in cui prolifera, in tutta la sua spontanea bellezza. Per sopravvivere alle intemperie o alla mutevolezza dei climi più diversi, l’artista realizza anche pitture molto colorate sulla gomma vulcanizzata, organizzando dei percorsi astratti, come sorta di labirinto interiore in cui ci si perde ma solo per il gusto di ritrovarsi. Il perpetuarsi dei valori del sentimento contenuti nell’impressione, emergono anche questa volta in un percorso coloratissimo, dove l’autore si diletta prevalentemente nel creare con piccole frasi una sorta di installazione “promemoria del quotidiano”. Guerraz lavora anche il ferro, l’ acciaio e il rame, realizzando ulteriori “labirinti tridimensionali”, che nascono muti, ma su cui l’artista finisce per apporre il proprio marchio verbale, un sintetico stemma di riconoscimento, con cui si riafferma l’origine dell’opera. Il lavoro di Guerraz, è allo stesso modo riconducibile attraverso una pura valutazione cromatica-temporale: del periodo in rosso, in giallo, in verde (acido) ma anche in quello dei laminati in argento e in oro. Così come per i colori, Guerraz predilige da sempre alcuni temi, in lui ricorrenti: primo tra tutti quello dei Peperoncini, rappresentati un tutte le fogge, in tutte le sfumature cromatiche e in tutte le pose, proprio come se si parlasse di esseri viventi. Il peperoncino, piccante per eccellenza, per Guerraz è simbolo di energia, gioia, arguzia e sensualità, ma anche un modo di dimostrare le capacità che la sua arte ha, di stimolare l’immaginazione, attraverso l’ironia, la deformazione, l’esagerazione e ancor più la reiterazione. Sono essi elementi alla base del procedimento estetico di questo artista: la presentazione della realtà trova rifugio sia nelle sue parole che nei suoi simboli, entrambi espedienti strettamente correlati al mondo che intende rappresentare. Ma nell’ambito della sua produzione, si trovano anche temi più introspettivi; come la rappresentazione scultorea di due scale che finiscono per appoggiarsi l’una all’altra senza mai fondersi, così come certe frasi amorose, dette di getto e che finiscono per convergere in un altro flusso di passione, entrambi rappresentati non più da lettere ma dalla pura materia del colore, che plasmata energicamente dall’artista, si arrampica su di un sentiero vorticoso per unirsi finalmente al vertice. Guerraz definisce la sua arte “barocca ma essenziale al tempo stesso, dove il più è sempre meno”: tutta la sua opera seduce per la varietà e la ricchezza di invenzioni, dall’informale delle “Cellule Innamorate” due tele rosso fuoco, pullulanti di bolle infuocate come fossero il particolare di un vulcano in eruzione. Il Vulcano è infatti un altro tema prediletto dall’artista, come l’elemento naturale in grado di portare la materia a distruzione per poi farla rinascere come altra. Il segno di Guerraz non è altri che un filo conduttore di una corrente intermittente; dimostra come la materia pittorica da puro mezzo, sia anche una realtà viva e organica con cui l’artista viene alle prese. Supporti geometrici su cui si animano frasi dell’“Underwater poetry”, se non leggibile, palpabile al tatto, come in un totale “braille mentale” a voler celebrare proprio nel 200ntenario dalla creazione di questo alfabeto, un omaggio diretto alla genialità del Professor Braille. Ascoltando le parole dell’artista secondo cui “perfino un buco nero può diventare bianco!”, per quanto Nicola Guerraz abbia sempre negato ogni implicazione di critica sociale o di denuncia del potere dell’immagine, egli sceglie temi apparentemente suggeriti dal caso e li sottopone ad un processo di trasformazione ideale, spogliandoli da qualsiasi connotazione o definizione qualitativa e riuscendo a renderli influenti più di quanto ipotizzato all’origine nei suoi pensieri. Si potrebbe affermare che i soggetti rappresentati, appaiano annullarsi in questo loro ripetersi giocoso, da cui tuttavia Guerraz , seppur ironizzando, riesce ad estrapolarne la più intima realtà e a raccontarla: le immagini non si riferiscono dunque solamente a ciò che esse raffigurano, ma sono determinanti anche della loro stessa essenza. Figure o forme apparentemente prive di carattere, assumono ancor più significato in quanto immagini nude e vere. La colorazione talvolta volutamente “fuori registro”, l’accensione di tono dei rossi, dei verdi, degli acidi o dei multicolori sulla gomma vulcanizzata, uniti alla tecnica del ton sur ton, complice il bianco come il portavoce assoluto di purezza, sono l’impronta personale per cui si riconosce l’opera tutta dell’autore. Come un novello Ermete, infatti egli si impossessa furtivamente di concetti estrapolati dal vissuto personale e della società, per tramutarli in icone artistiche che narrano questa nuova realtà, firmata Nicola Guerraz. In tutta la sua produzione, è possibile ricondursi a quel fil rouge, con cui si giunge sempre al punto d’incontro con l’ottimismo dei veri sentimenti; dove tutto rientra in un sistema estremamente funzionale, in cui il gioco, unico vero protagonista, si manifesta propriamente risolutivo verso i più comuni atteggiamenti collettivi.

Guerraz inconsciamente fa del suo pensiero un mito: sembra sempre sul punto di dir qualcosa di definitivo, ma si ritrae come la materia stessa su cui plasma i propri pensieri, che per un caso, non è mai abbastanza.

Ironizza, talvolta si rifugia nel feticismo di certi temi simbolici, con quella recitata superficialità di chi non prova sentimenti o chi non possiede giudizio critico, accettando e limitandosi nel riportare le cose, così per quello che sono. Ma in realtà questo artista sensibile, come fosse un poeta, espone sì al pubblico le sue opere, ma è intimamente geloso dei momenti da cui sono calorosamente scaturite, come la lava zampillante di certi suoi vulcani: teme che si possa confondere la sua memoria tra le impressioni dei posteri, così come nelle pagine che verranno segnate dalla critica.
Dunque, Guerraz nel suo lavoro, con la semplicità dell’artigiano letterato e artista, sottoscrive una promessa passionale, fermando nei suoi lavori tutto ciò che di provvisorio, aleatorio e contingente si consuma intorno alla propria vita. Guerraz non insegna né ricerca delle massime che aiutino a regolarizzare la propria esistenza e quella degli altri. Guerraz per adesso pensa solo a raccogliere istanti microscopici di vite in movimento, ma è troppo presto, riflettendoci sopra, per occuparsi anche delle conseguenze.
Miriam Castelnuovo